Martedì 30 aprile 2024, ore 17.00
Biblioteca Statale “Stelio Crise”, L.go Papa Giovanni XXIII n. 6
Conferenza del prof. Antonello Bellomo
A cura del prof. Maurizio De Vanna, direttore della Sezione Medicina del CCA
Abstract
Le teorie del complotto possono essere definite come la risposta, piuttosto standardizzata, a situazioni critiche estreme, a eventi catastrofici, a fenomeni di travolgente complessità che infondano in coloro che li esperiscono un terrificante, mortifero quanto ineffabile senso di minaccia, la cui elaborazione risulti fallimentare, nella sterilità di qualunque sforzo di oggettivazione e di incasellamento. Vengono, pertanto, a disgregarsi le capacità di resilienza e di padroneggiamento di sé e del reale da parte del soggetto che, in un mondo dominato dalla casualità, si trova posto perentoriamente di fronte alla prospettiva del caos, dell’indeterminato, dell’insensato: un fondo oscuro oltre l’orizzonte. Questa vertiginosa condizione esistenziale (di stampo kierkegaardiano e jaspersiano) genera, negli individui e nei gruppi sociali che essi compongono, serpeggianti e mal definibili stati di angoscia.
Si può ritenere che le declinazioni complottistiche siano catalizzate dalla mancanza di coesione sociale, come si verifica nel caso di una “liquefazione” della società spogliata delle sue coordinate di riferimento: una società smarrita, in cui vacilli ogni certezza e collassi la fiducia nei tradizionali organismi istituzionali; tesa all’affannosa ricerca di nuove intelaiature ideologiche, alle quali ancorare i sistemi di credenze destinati a regolare il rapporto con la realtà.
I sistemi di credenze apocrife dei complottisti costituiscono materia fideistica e in quanto tale acritica, scolpita da una particolare visione del mondo (che plasma, parallelamente, il pensiero politico). Questi princìpi servono a cementare il senso di appartenenza a gruppi organizzati, specie se guidati da figure dominanti o leaders carismatici. Ne consegue un rafforzamento dell’identità collettiva e, nel contempo, un puntellamento di quella personale. Cionondimeno, i soggetti più fragili, nel ricercare nel ventre della struttura gruppale quell’identità che si distilla piuttosto dalla propria storia, possono andare incontro all’elevato rischio di manipolazione da parte dei leaders. Le tesi complottistiche si rivelano, dunque, quale fuga dal magma dell’incertezza e riorganizzazione, ricostruzione alternativa della realtà, volta a “mettere insieme i cocci”, a dare un nome e un senso ai fenomeni che appaiono caotici e inesplicabili. Generalmente, si ricorre all’identificazione di un colpevole, di un capro espiatorio - non in noi ma in loro, nell’altro, nello straniero - cui imputare il male che, in modo spesso repentino e imprevedibile, scuote dalle fondamenta la vita di una comunità.È così che questi processi assumono forme assimilabili a miti profani, che possono espandersi, articolarsi e arricchirsi con i contenuti più disparati, ma sempre sulla rotta indicata dalla necessità improcrastinabile di sfuggire alle paure ancestrali che sconvolgono gli uomini, alla luce della considerazione per la quale l’evoluzione biologica della mente umana procede a una velocità incommensurabilmente inferiore rispetto a quella del progresso tecnologico.
Ne sono prova certi incubi della subcultura no-vax, in cui aghi arcani e xenopatici minacciano di violare i confini della “meità” e dove si sparge il terrore di essere uccisi oppure tramutati in burattini o in zombie mediante una trasformazione del DNA operata dal vaccino (come una sorta di pietrificazione perpetrata da una moderna Medusa, per cui il vaccino diventa feticcio, sostituto simbolico di una spersonalizzazione o reificazione più vasta e subdola, che si insinua nella società contemporanea). Tematiche simili si ritrovano nei deliri di influenzamento o di metamorfosi dei pazienti psicotici, presumibilmente sulla base di meccanismi comuni che coinvolgono le parti arcaiche del Sé (in un crocevia che potrebbe echeggiare i modelli archetipici junghiani). È ben studiato, del resto, il legame tra le psicosi e i traumi ambientali intensi o ripetuti, che minano il senso dell’identità di se stessi e degli altri.
Alla luce di quanto esposto, si ricava che la complessità di una materia scivolosa quale quella dei “complottismi” rende necessario un approccio integrato, multidisciplinare, polisemico che tenga conto delle molteplici chiavi di lettura del fenomeno: psicologica/psicopatologica, antropologica, etologica, sociologica, filosofica, evoluzionistica, neuroscientifica, nonché - non certo ultima - quella suggerita dal campo delle arti. Come le emozioni possono essere descritte tanto in un sonetto shakespeariano o in una pièce teatrale quanto in un testo di neurochimica con altrettanta validità e analogo vigore semantico, senza che i differenti punti di osservazione debbano essere bollati come incompatibili, così la discussione odierna sulle tematiche cospirazionistiche deve trarre nutrimento, per la loro comprensione, dal contributo composito, multistratificato, frastagliato e interconnesso di discipline spesso distanti ma non per questo dissonanti, per non arenarsi in una rigida compartimentalizzazione, in una riduzionistica parcellizzazione che non consentirebbe di afferrare una simile articolazione di senso nella sua stordente vastità.
Antonello Bellomo - Già Direttore della scuola di specializzazione in psichiatria dell’Università degli studi di Foggia e Docente di psichiatria, igiene mentale e storia della medicina presso la stessa, ad oggi è Direttore del reparto di psichiatria degli OO. RR di Foggia e Professore ordinario di psichiatria presso l’Università degli studi di Foggia. Da maggio 2008 a novembre 2013 è stato Presidente della SIPS (Società Italiana di Psichiatria Sociale). Da settembre 2017 a novembre 2021 Presidente della Società Italiana di Riabilitazione Psicosociale. E’ autore di centinaia di pubblicazioni edite su riviste nazionali ed internazionali e di sette monografie.
Entrata libera fino ad esaurimento dei posti disponibili in sala